Recensione di Septem Literary: Caterina D’Aragona: Dignità e coraggio – Cristina Penco
14 Febbraio 2024

È passata alla storia come la regina ripudiata, Caterina d’Aragona, la moglie ferita che, anche di fronte alle umiliazioni e al rifiuto del marito Enrico VIII, re d’Inghilterra, mostrò fino all’ultimo grande dignità, virtù e incrollabile fede. La Trastámara, in realtà, fu molto di più, grazie a una personalità mite ma determinata, e alle sue doti naturali in fatto di leadership e diplomazia, che la resero una protagonista tutt’altro che passiva dei suoi tempi. Figlia dei sovrani cattolici Ferdinando II d’Aragona e Isabella I di Castiglia, prima donna in Europa a ricoprire l’incarico di ambasciatrice a corte, instancabile nella carità cristiana quanto capace di vincere sul campo di battaglia, Caterina si dovette fare largo dentro una società di uomini e scontrare con i loro sadici giochi di potere. La sua vita rimarrà impigliata a quella di una giovane dama, Anna Bolena, e alle trame di Palazzo del marito, tra la volontà di procacciarsi un erede maschio e lo Scisma anglicano. Delle sei mogli di Enrico VIII, Caterina fu la preferita dei sudditi, che continuarono a rispettarla e ad amarla come una delle più illuminate e colte sovrane del Cinquecento.

Recensione a cura di Lia Angy Fiore

 

“La sua esistenza che aveva sempre oscillato tra momenti dorati e periodi bui, sembrava riportare a quel mito di Persefone che tanto l’aveva affascinata, ma anche resa inquieta, nella sua adolescenza. Anche a lei, in qualche modo, così come alla figlia di Demetra, i chicchi del melograno avevano portato una sorte alterna.”

Poco lontano da Madrid, nel Palazzo arcivescovile di Alcala de Henares, si trova una statua. Rappresenta una donna nel pieno della giovinezza, con in mano una rosa e un libro.

La rosa sta a indicare che la donna era una delle più celebri Rose Tudor, con riferimento all’emblema della dinastia; il libro, invece, rappresenta l’intelligenza e l’impegno nell’ambito dell’istruzione, soprattutto femminile.

La statua raffigura Caterina d’Aragona, prima moglie di Enrico VIII; una sovrana spesso sminuita dagli storici e messa in ombra dalle personalità ingombranti e apparentemente più forti del suo consorte e della sua rivale, Anna Bolena. È stata spesso dipinta come una moglie sottomessa, come una donna dalla personalità debole, eccessivamente seriosa, rigida e bigotta.

 Una descrizione intrisa di pregiudizi, che non rende giustizia a una grande sovrana, che non è azzardato definire “illuminata”, e che dimostrò di avere una notevole abilità di “leadership”, esercitata con garbo e gentilezza. 

Da questa ricca e dettagliata biografia, emerge una personalità complessa, con numerose sfaccettature.

Figlia di Ferdinando d’Aragona e di Isabella di Castiglia, ricevette dalla madre un grande esempio ed insegnamento, e capì molto presto che per una sovrana il dovere e la perseveranza dovevano essere sopra ogni cosa. Isabella inculcò in lei anche una convinzione che non sarebbe mai venuta meno durante la sua breve e travagliata esistenza: un marito è sempre un dono del Cielo, e il matrimonio è un legame indissolubile, espressione della volontà del Signore.

La corte di Ferdinando e Isabella fu una corte “itinerante”, e Caterina passò l’infanzia e l’adolescenza a viaggiare attraverso i vari reami spagnoli. Dei sedici anni vissuti in Spagna, ben tredici li trascorse in città sempre diverse. Questo era anche un modo per tenere sempre unita la famiglia.

Sin da bambina, amava leggere i romanzi cavallereschi.

 L’infanzia di Caterina fu felice; sua madre diede molta importanza alla sua istruzione, che comprendeva lo studio dei classici, nozioni di diritto civile e canonico, di genealogia e araldica, il ricamo, il cucito e tutte le altre arti femminili indispensabili per essere una brava moglie e padrona di casa. 

Conosceva, inoltre, diverse lingue, il greco e il latino. Quest’ultima si rivelò una lingua molto importante per gli incarichi che poi andò a svolgere.

All’età di tre anni fu promessa in sposa ad Arthur Tudor, più piccolo di lei di alcuni mesi. Nel corso degli anni, i due promessi sposi non si videro mai, ma si scrissero lettere in latino.

Nel 1501 arrivò il momento di lasciare la sua Terra. L’autrice ci racconta un aneddoto, che forse farà storcere il naso a molti storici, ma che personalmente ho trovato curioso e singolare.

Durante il lungo viaggio verso il porto di Coruña, Caterina volle fermarsi a Santiago de Compostela e, mentre si trovava all’interno del famoso Santuario, la corda che sosteneva il Botafumeiro, il più grande incensiere al mondo, si ruppe. Un segno di cattivo auspicio, secondo le superstizioni dell’epoca.

Anche la traversata verso l’Inghilterra fu piuttosto turbolenta, accompagnata da venti e piogge incessanti. Quasi un presagio del futuro tormentato al quale la futura Sovrana stava andando incontro.

Il matrimonio con Arthur durò soltanto pochi mesi a causa della prematura scomparsa dello sposo. Caterina si ritrovò in una posizione non facile. Tenuta in scacco dal suocero, che reclamava la seconda parte della dote, e dal padre, considerata da entrambi una presenza superflua e un problema di stato.

In questo difficile periodo, però, riuscì a raggiungere un importante obiettivo: riuscì ad ottenere dal padre l’incarico di ambasciatrice, diventando così la prima ambasciatrice donna d’Europa. Si dimostrò molto abile nel riuscire a conciliare le tensioni tra l’Inghilterra e il suo Paese d’origine.

Furono le nozze con il giovane Enrico, fratello minore di Arthur, a porre fine a questa situazione di precarietà ed è anche per questo che Caterina non smise mai di considerare il secondo marito come il suo benefattore.

Il giovane Enrico aveva un aspetto imponente e una personalità magnetica; era un uomo colto e aveva molti interessi in comune con Caterina come la musica, i balli, la falconeria, l’arte, le lettere e la politica. Anche la fede li univa.

Il loro fu inizialmente un matrimonio felice.

Fu una regina molto amata dai suoi sudditi, che conquistò definitivamente quando chiese pubblicamente al re di risparmiare la vita dei rivoltosi dell’Evil May Day.

Tenne sempre ben a mente il duplice obiettivo di tenere alto il prestigio della sua famiglia d’origine e di fare acquisire importanza anche alla sua nuova famiglia.

Sempre in prima linea nella beneficenza, fu promotrice di misure a sostegno dei più bisognosi. Incoraggiò la produzione di merletti in modo che le vedove e le ragazze orfane potessero provvedere dignitosamente al proprio sostentamento. Con il tempo, da questa iniziativa si sviluppò una fiorente produzione industriale.

Fu la prima sovrana inglese a promuovere l’accesso alla cultura delle donne e fu mecenate di importanti intellettuali del tempo.

Nonostante i suoi modi delicati e pacati, dimostrò di essere anche una condottiera valorosa e capace, e di avere un’indole di ferro. Infatti, mentre il marito era impegnato a combattere in Francia, Caterina, nonostante la gravidanza, imbracciò le armi per difendere il suo Paese di adozione ed ebbe un ruolo determinante nella vittoria della Battaglia di Flodden Field.

Col tempo, il temperamento imprevedibile, collerico e vendicativo di Enrico iniziò ad emergere. 

In sette anni di matrimonio, una sola gravidanza andò a buon fine e nacque Maria, passata alla storia come Maria la Sanguinaria. Il tanto atteso erede non arrivava e un tarlo si insinuò nella mente del sovrano: forse, tutte quelle gravidanze non andate a buon fine erano il castigo di Dio per aver sposato la vedova di suo fratello Arthur…

Enrico iniziò ad allontanarsi sempre di più da Caterina e decisivo fu l’arrivo a corte di Anna Bolena, che non fu certo la prima amante del Re…

Ripudiata, umiliata, vittima di angherie e violenze psicologiche, Caterina si ritrovò in un abisso di solitudine e dolore. Sorretta da una fede incrollabile e da un’incredibile forza d’animo, mantenne un contegno davvero ammirevole anche nei momenti più difficili.

 Non si mostrò mai come una vittima rancorosa; fino alla fine proclamò il suo amore e la sua devozione al marito, e pregò per la salvezza dell’anima di Enrico. Il suo obiettivo principale fu sempre quello di riportare il marito sulla retta via. Conserviamo traccia delle sue toccanti ed appassionate “suppliche” ad Enrico.

“Mio carissimo signore, re e marito, l’ora della mia morte si avvicina, l’amore tenero che ti devo, mi costringe, date le circostanze, a ricordarti con poche parole della salute e della salvaguardia della tua anima […]. Per la mia parte, perdono tutto a te, e desidero pregare devotamente Dio affinché ti perdoni anche Lui.”

Isolata nel castello di Kimbolton, si ritrovò a condurre una vita quasi monacale, fatta di miseria e privazioni. Il sacro fonte battesimale con incise le iniziali H e C era l’unica cosa che restava della vita passata e del suo matrimonio con Enrico.

Anche nella disperazione, non rinunciò mai ad affermare la propria verità, dimostrando di essere tutt’altro che debole e manipolabile, e dimostrò una grande abilità nel far leva sull’opinione pubblica, sfruttando la sua rete di fedeli servitori e messi imperiali.

Caterina morì il 7 gennaio 1536, a poco più di cinquant’anni, tra le braccia della sua amica Maria de Salinas. Non morì per avvelenamento e nemmeno a causa del troppo dolore, ma per un “Sarcoma Melanotico”, impossibile da diagnosticare a quei tempi.

Con un taglio giornalistico, Cristina Penco, giornalista professionista e autrice di altre biografie dedicate ai Reali inglesi, delinea un ritratto vivido e completo di colei che Shakespeare definì “la regina di tutte le regine e modello di maestà femminile”, rendendo finalmente giustizia a una protagonista indiscussa della storia della monarchia britannica.

Al di là dei suoi modi pacati e della sua compostezza, talvolta scambiata per freddezza, Caterina era una donna passionale, animata da un fuoco interiore, da “un nastro di fuoco in moto perpetuo, come la ruota della fortuna e del supplizio, simbolo della santa con cui condivideva il nome. Colore rosso carminio, come i chicchi del suo melograno [il suo simbolo araldico]. Intenso e vivace come un papavero.”

Lei e Anna Bolena, la sua rivale, hanno più punti in comune di quanto possa sembrare fermandosi all’apparenza. Entrambe amate da Enrico fino a quando non decisero di far valere i loro diritti e di non essere manipolabili.

“Caterina e Anna […] erano due papaveri alti – per citare la celebre immagine di Tito Livio […] – due fiori scomodi che svettavano e che andavano falciati via da Palazzo, laddove non era sufficiente sminuirne meriti e capacità.”

La storia di Caterina è estremamente attuale. Se fosse vissuta ai giorni nostri, esaminando la sua relazione con Enrico, si parlerebbe di Gaslighting, una forma di manipolazione volta a far dubitare la persona di se stessa e della propria sanità mentale, e di Ghosting, vista la “sparizione” di Enrico, che le negò persino un ultimo saluto. La fine di Caterina fu sicuramente meno cruenta rispetto a quella di Anna Bolena e di altre mogli del sovrano, ma fu comunque vittima di violenze psicologiche.

Tuttavia, ricordarla soltanto come una delle vittime di Enrico VIII è davvero riduttivo, visti i numerosi meriti che Caterina dimostrò di avere, come donna e come sovrana.

È un personaggio che già ammiravo molto, dopo aver letto la biografia romanzata scritta da Alison Weir, e questo saggio, così dettagliato e appassionante, ha confermato l’idea che mi ero fatta di lei. Trovo che questa citazione racchiuda l’essenza di Caterina…

“Una Tudor Rose che non era composta solo di una morbida e vellutata distesa di petali, ma anche di un gambo robusto, con spine pungenti.”

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