Recensione di Libri di Sport: La mia vita da numero 10 – Evaristo Beccalossi
24 Gennaio 2024

L’autobiografia dell’ex fantasista nerazzurro

Solo fortuna?

Evaristo Beccalossi, fantasista interista dalla fine degli anni Settanta a metà anni Ottanta, ha affidato ricordi e confidenze alla giornalista Eleonora Rossi. Raccolta in una decina di capitoli c’è tutta la sua vita sportiva, parabola ascendente e discendente, incontri decisivi, pensieri sul calcio e sui protagonisti che come lui occupavano la scena. In La mia vita da numero 10 il tono è familiare, la narrazione discorsiva, lo stile immediato. Pacatezza e semplicità sono le caratteristiche del testo, come lo è il carattere stesso dell’ex campione nerazzurro. L’opera profuma di spontaneità e sincerità. Il “Becca” mantiene un profilo basso: non vuole enfatizzare la propria avventura o celebrare il proprio cammino. Si prefigge solo di raccontare quanto sia stato fortunato (non c’è mai un cenno di autoelogio) e presentare persone e incontri che gli hanno cambiato la vita, lo hanno lanciato nel mondo del pallone e tollerato le sue bizzarrie.

Estro e bonomia.

In un volume-verità, come vuole essere questa autobiografia, non possono mancare i punti deboli del protagonista, gli aspetti discutibili, i comportamenti inopportuni o non in linea col suo essere atleta. Beccalossi non ha problemi ad ammettere la propria pigrizia, la propria resistenza a sottoporsi alle fatiche della preparazione atletica, la sregolatezza che in alcuni casi – qui raccontati – ha condizionato negativamente il suo stato di forma fisica e la continuità delle sue prestazioni. Resta comunque il suo estro, la sua fantasia di gioco, la magia dei suoi assist e dei suoi passaggi imprevedibili. Resta lo scudetto con la sua Inter, nel campionato 1979-1980, storico perché l’ultimo vinto da una compagine interamente formata da calciatori italiani (prima della riapertura delle frontiere a favore degli stranieri); i fantastici gol, i combattutissimi derby, l’amore viscerale dei tifosi che gli perdonavano tutto (anche due rigori sbagliati nella stessa partita), l’affetto e l’amicizia dei compagni. Il suo spirito goliardico, la sua bontà d’animo, la sua innata modestia lo rendevano spontaneamente simpatico all’interno dello spogliatoio, lo ponevano nella privilegiata condizione di riuscire ad amalgamare e fare gruppo, gli permettevano di essere considerato amico un pò da tutti.

Il segreto.

Nel libro c’è spazio anche per qualche timido riferimento e qualche fugace allusione a persone con cui Beccalossi ha avuto problemi (qualche esempio: il presidente nerazzurro Ernesto Pellegrini o il mister della Nazionale Enzo Bearzot). Ma il protagonista non è interessato ad approfondire, a recriminare, a fornire versioni accusatorie o tesi difensive. È troppo sereno, troppo soddisfatto, troppo appagato dalla sua vita trascorsa e da quella attuale (Capodelegazione della Nazionale Under 19 e 20): non è il caso di soffermarsi su quel poco che nel suo percorso non è andato bene o su quei pochi che lo hanno ferito, fermato, svalutato. Da vero numero 10 (colui che in campo detta i tempi del gioco, imposta e rilancia), orgoglioso e creativo, ha sempre vissuto a testa alta, seguendo il proprio istinto, svolgendo la propria professione e interpretando il proprio ruolo divertendosi. Avendo imparato che nella vita, nonostante eventuali circostanze negative, c’è sempre un rovescio della medaglia. Gioioso, scanzonato, artista del calcio: così lo descrive il suo grande amico Enrico Ruggeri – autore, tra l’altro, della prefazione al volume – che nel 1997 gli aveva dedicato una canzone. Si capisce anche dalle pagine di questo libro che Il fantasista (questo il titolo del brano di Ruggeri) ha sempre avuto un segreto: non prendersi mai troppo sul serio. Anche all’apice del successo o anche quando in ottantamila al Meazza scandivano il suo nome…

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